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Il buono, il brutto e il giovane

Di Mauro Spina


Nell'opera del 1951 il politologo francese Maurice Duverger (1917-2014) polemizzava con la struttura di fondo della democrazia. Non può, affermava l’autore, essere definita come il governo del popolo da parte del popolo, quanto piuttosto il predominio di un piccolo numero sul grande (Les partis politiques, p. 514). A distanza di 70 anni da queste osservazioni aggressive sulla forma di governo che ha garantito stabilità al continente europeo, occorre fermarsi a riflettere su quanto avviene in Italia.

In questa situazione di crisi causata dalla pandemia di Sars-Cov19 sono emerse delle criticità che la politica italiana sta cercando di affrontare con la coalizione più vasta possibile. Si potrebbe pensare che dinanzi a questa comunione d’intenti (gran parte di pura facciata) ci sia il predominio assicurato della maggioranza degli elettori. A tradire questa narrazione dei fatti è il completo disinteresse per il destino di milioni di giovani, gran parte dei quali in Italia è disoccupato, con picchi altissimi in alcune regioni meridionali, o sottoccupato con uno stipendio medio più basso che nel resto d’Europa.

E se si volge lo sguardo per un attimo al passato prima di tornare sul contesto presente, è facile accorgersi di come il termine giovani sia sempre stato usato dalla politica e dalle discussioni pseudo scientifiche dei salottini televisivi per indicare un indistinto, confuso aggregato di persone. Nel G8 di Genova del 2001, per rimanere nel breve scorcio del XX secolo, i giovani erano teppisti di ogni sorta, alle cui recriminazioni e richieste l’allora governo rispose sospendendo i diritti civili e con il pugno di ferro. Ugualmente senza risposta rimasero le enormi manifestazioni organizzate da tutti gli studenti di ogni ordine e grado contro la riforma Gelmini (2008-2010) e si potrebbe continuare così fino ai giorni presenti.

Mentre il movimento Black Lives Matter Bergamo e altre 14 associazioni lanciano la campagna CambieRai per manifestare contro il razzismo nel linguaggio e la poca attenzione alle minoranze nei palinsesti della televisione pubblica, sull’altra principale rete Mediaset andava in scena in questi giorni una gag comica degna dell’Alabama degli anni ’30. Non va meglio nel contesto ecologico, infatti mentre il movimento prevalentemente composto da giovani del Fridays For Future ed Extinction Rebellion portano dati alla mano, le conseguenze dei disastri ecologici sul pianeta, il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani apre alla possibilità di inaugurare 11 nuovi pozzi petroliferi nel Mediterraneo. E per finire, sul piano delle riforme del lavoro di pertinenza del ministro Renato Brunetta (che fa parte dello stesso partito di Maria Stella Gelmini, autrice dei tagli alla ricerca e all’istruzione del biennio citato in precedenza) si rischia con le assunzioni nelle scuole e nella pubblica amministrazione di danneggiare, di rendere precari gran parte di quei giovani in attesa di un impiego stabile.

C’è un predominio reale di una minoranza anagraficamente avanti con gli anni in Italia. Incapace di guardare al futuro, quando basterebbe soffermarsi sui dati dell’emigrazioni giovanile per comprendere che esiste un problema, è sentito ma non viene affrontato. Principalmente per l’incapacità di questa classe politica di sentire questi problemi. Non sono nati negli anni ’90 e non hanno vissuto riforme scolastiche scadenti, una crisi economica mondiale e quella attuale. Alle richieste di ascolto nel corso degli anni sono giunte risposte sbrigative sul tema (da entrambi gli schieramenti politici, di questo si può esser fieri), i giovani sono stati definiti svogliati, incapaci di essere imprenditori di se stessi (anche se nessuno ad oggi ha veramente capito cosa voglia dire), fino all'accusa del premier Mario Draghi, quella di saltare le file per i vaccini, sottraendo le dosi ai più anziani.

Quando la realtà si cristallizza in maniera così evidente in una classe politica che cerca solamente di riprodursi senza appoggio reale nel paese, sono evidenti tutti i segnali della crisi. L’incapacità di riflettere sulle future generazioni i costi delle scelte presenti è la sintesi di un governo interessato solo alla sopravvivenza di apparati pronti ad essere utili alle tornate elettorali. Questo forse è il predominio di cui parlava Duverger nel ’51. Perché l’Italia è un paese anagraficamente vecchio e questa politica si rivolge a se stessa, mai ai giovani. Eppure le nuove generazioni raccolgono il testimone da quelle precedenti e permettono che un sistema paese funzioni. Trascurarle, derubricare le loro richieste, non ascoltarle è segno di una grave crisi di sistema. Questa sì che esiste ed è reale. E non coinvolge i partiti in quanto tali (visto che tutti all’interno e fuori dal perimetro di governo si trovano molto bene) ma colpisce la base del sistema rappresentativo. Si sta deliberatamente mettendo sotto silenzio il cuore di questo Paese. E i risultati di queste azioni, per il futuro, non saranno certo buone. E’ il momento che il governo dei migliori se ne accorga e agisca.


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