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Il Golpe che sconvolse la Turchia

Aggiornamento: 4 ago 2020

Di Kevin Gerry Cafà


Il fallito colpo di Stato in Turchia del 15 luglio ha segnato immancabilmente un’altra tappa delle convulse e drammatiche vicende mediorientali, entrando prepotentemente nella storia più recente del paese anatolico. Non è possibile comprendere l’ascesa dell’AKP, il suo scontro con la burocrazia, la potenza della cellula Gülenista e il tentativo di colpo di stato del 15 Luglio senza prendere in considerazione l’enorme quantità di aspetti che hanno reso la Turchia un paese estremamente interessante da analizzare. Il dominio esercitato dai Gülenisti sulla burocrazia era ormai risaputo. Già nel 2016, la quota dei membri della confraternita Gülenista nell’esercito e nella magistratura era stimabile tra il 60% e il 70%, che poneva Gülen tra le personalità più influenti della società turca, pur essendo residente negli Stati Uniti.


Nei mesi precedenti al Golpe del 2016, in Turchia emergeva la debolezza e lo sgretolamento dei servizi di sicurezza di Erdoğan, resi evidenti da una serie di attacchi terroristici ad opera dell’auto proclamato Stato Islamico (Isis) ad Ankara durante una manifestazione di sostegno verso il partito curdo (Hdp) e del gruppo Dhkp-c, di stampo marxista. Il tentativo di colpo di stato è durato solo sei ore partendo dal blocco sul Ponte del Bosforo, con il successivo sorvolo di jet militari a bassa quota sulla capitale, per poi, a mezzanotte, irrompere nella sede dell’emittente pubblica TRT251, costringendo una conduttrice televisiva a leggere, in diretta, un comunicato che dichiarava il Colpo di Stato dei militari. Questi ultimi annunciavano la sospensione della Costituzione e l’applicazione della legge marziale. Il passo successivo è stato l’assedio degli aeroporti e degli edifici delle istituzioni turche, con la presa in ostaggio del Capo di Stato Maggiore mentre risiedeva nella sua sede ad Ankara.


L’aspetto importante da sottolineare di quella notte, è che il golpe del 2016 fu il primo colpo di stato non organizzato dal Capo di Stato Maggiore. Nonostante si trovasse a Marmaris in vacanza con la famiglia, Erdoğan riuscì ad apparire su tutte le reti nazionali via FaceTime, annunciando il tentativo di rovesciamento del suo governo da parte di una branca dell’esercito fuori dal suo comando e incitando tutti i cittadini a contrastare i golpisti. La risposta da parte della popolazione fu del tutto inaspettata, poiché migliaia di cittadini decisero di reagire al tentativo di rovesciamento dell’esecutivo, riversandosi nelle strade che circondano la sede dello Stato Maggiore ad Ankara e riunendosi anche nell’Aeroporto Atatürk e nel quartiere Çengelköy. Questa prima parte di ricostruzioni lascia molti dubbi, visto che nessun partito di opposizione turco decise di appoggiare l’azione dei ribelli. Molti analisti si sono soffermati sulla strana vicenda che vede coinvolti i militari e i presunti golpisti, che pur essendo armati di mezzi pesanti vennero disarmarti con estrema facilità dalla folla scesa in piazza per difendere il Reis dal colpo di stato. Difatti, all’alba della mattina del 16 luglio il governo legittimo era in grado di riprendere il controllo del Paese. Il bilancio di quella nottata è stato di 290 morti e 1400 feriti. Il Presidente Erdoğan riuscì indisturbato a far ritorno ad Istanbul in elicottero. L’unica certezza è che questo colpo di stato fallisce. La fortissima reazione popolare ha stupito una grossa fetta dell’opinione pubblica europea, viste le condizioni poco democratiche a cui era soggetta la società turca. Se mettiamo da parte la discutibilità della scelta da parte dei golpisti di non impedire in tutti i modi ad Erdoğan di mobilitare la sua base sociale, la mobilitazione in difesa dell’AKP e della stabilità del governo sembra aver messo definitivamente una pietra tombale sulla possibilità per l’esercito di essere il dominus della vita politica del paese, condizione che aveva portato ai golpe del 1960,1971,1980 e 1997. Le vittime del fallito golpe non sono nulla in confronto a quanti moriranno o saranno costretti alla fuga a causa della dura reazione del governo. Erdoğan, dopo essere uscito illeso dal colpo di Stato, ebbe l'occasione politica che aspettava per poter fare piazza pulita di tutti i suoi oppositori politici e non solo. Addossò tutta la colpa del golpe a Gülen, che in quel momento si trovava negli Stati Uniti e alla CIA, dichiarando lo stato d'emergenza. A quel punto, decise di avviare un massiccio processo di epurazione che non toccò solo i settori dello Stato coinvolti nel golpe ma anche i giornalisti e le loro testate. Inoltre, il governo avviò la confisca di beni gülenisti per un ammontare pari a circa 4 miliardi di dollari, violando il diritto fondamentale della proprietà. Il resoconto finale è drammatico: oltre centomila le persone sospese o licenziate dai loro impieghi pubblici, quasi 43.000 sono finite in carcere e 23.770 arrestate; 2.100 scuole, 19 università, 1.254 associazioni e fondazioni sono state chiuse; 3.465 giudici e pubblici ministeri sono stati licenziati, alcuni incarcerati.


A causa dei numerosi arresti arbitrari avvenuti nei giorni successivi, più di 13 mila un quinto dei membri del sistema giudiziario turco e delle ancor più numerose testimonianze di tortura, di processi iniqui, di censura di giornali e ancora detenzione di giornalisti, la Turchia e la Presidenza di Erdoğan è stata accusata di autoritarismo e ha suscitato forte apprensione tra la comunità internazionale, in particolare a causa delle denunce di violazione dei diritti umani fondamentali sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani, firmata anche dalla Turchia stessa nel 1950. Sono state chiuse università e scuole private, sciolti quasi 1400 sindacati, fondazioni e associazioni e diverse migliaia di ufficiali militari sono stati rimossi dal loro incarico mediante il “congedo per disonore”. I fermi di polizia sono durati anche 30 giorni senza nessun capo di imputazione e ci sono testimonianze di detenuti che denuncerebbero la loro impossibilità di appellarsi ad un avvocato.


Un Golpe inventato?


La semplicità e la rapidità con cui il tentativo di Golpe di stato è stato sventato spingono a pensare due possibili scenari, ovvero che i golpisti abbiano compiuto una azione mal preparata, sperando di ottenere un maggiore sostegno dalla popolazione e dalle cancellerie straniere, oppure che il governo a guida Ak Parti fosse da tempo a conoscenza del tentativo di sabotare Erdoğan e di non attribuire il giusto peso con la consapevolezza di poter sfruttare a proprio vantaggio la situazione che si creerebbe subito dopo. È difficile ipotizzare una sorta di “auto-Golpe” orchestrato da Erdoğan, ma ci sono diverse coincidenze che lasciano aperte parecchie ipotesi. La cosa certa è che il tentativo di colpo di stato c’è stato e che lo stesso Erdoğan aveva già deciso arresti, epurazioni e processi agli esponenti delle opposizioni, l’organizzazione di Gülen tra tutte. Appare parecchio strano che in un paese come la Turchia, in cui i servizi segreti (Mit) godono di risorse e discrezionalità illimitata, nessuna notizia sia trapelata in anticipo. Intorno alle 16 di quel venerdì i servizi segreti turchi avevano intuito la possibilità di un imminente colpo di Stato. Hanno effettuato verifiche e hanno ricevuto conferme da alcuni vertici militari, così hanno avvertito il Capo dello Stato che ha potuto muoversi in tempo. Dubbi che alimentano un’ipotesi alternativa alla versione ufficiale, ossia che proprio l’intelligence turca sarebbe la mente di uno dei più grandi “bluff” o inganni della recente storia politica turca e mediorientale. La tesi ufficiale e maggiormente condivisa in Turchia è che il golpe sia stato orchestrato dagli Usa di Obama, che avrebbe scelto Gülen come una sorta di cavallo di troia per destabilizzare la Turchia dal suo interno. Il dato interessante da evidenziare è che le inchieste giudiziarie del dicembre 2013, lanciate secondo Erdoğan dai giudici Gülenisti, Erdoğan ha inaugurato la stagione della “caccia alle streghe”, in cui disse di voler stanare i membri della confraternita, a partire dalla sospensione dal servizio di circa 12.801 agenti di polizia accusati di essere vincolati alla rete guidata dal predicatore e magnate Fethullah Gülen, che secondo Ankara dal suo esilio statunitense avrebbe ispirato o addirittura diretto il tentato colpo di stato militare dello scorso 15 luglio. Sostanzialmente, Erdoğan ha lasciato l’iniziativa ai Gülenisti per poi approfittare dello stato d’emergenza e dei poteri straordinari concessi al regime in questi casi. Una manovra che ha permesso al presidente turco di consolidare il potere nelle mani sue mani, al fine di attuare una sorta di “pulizia” dei nemici interni agli apparati statali che teneva banco fin dai tempi di Gezi Park. Gli attacchi di Erdoğan a Gülen infatti rendono chiaro che il primo conoscesse bene i rischi a cui sarebbe stato sottoposto da un’ipotetica unione tra kemalisti ed islamisti moderati appoggiata da Washington.


L’ex Segretario di Stato americano, John Kerry, affermò che gli Stati Uniti avrebbero preso in considerazione la sua richiesta solo nel caso in cui fosse riuscito a presentare delle prove del coinvolgimento di Gülen nei fatti del 15 Luglio. Nel progetto di Washington, l’imam avrebbe rappresentato un argine contro la diffusione in Turchia del fondamentalismo islamico, fungendo da testa di ponte per le manovre dell’intelligence Usa nella regione. La vittoria di Erdoğan ha determinato la durissima repressione dei referenti americani. Nel settembre 2016, il dipartimento di Giustizia turco comunicò di aver arrestato 32 mila persone appartenenti all’organizzazione Gülenista e 7028 membri delle forze armate. Tra questi anche 164 generali e ammiragli, 287 colonnelli, 351 maggiori e 471 capitani, che erano degli interlocutori privilegiati degli Usa e della Nato. È chiaro che in questa fase Erdoğan abbia approfittato degli eventi del 15 luglio per attuare una pulizia strategica degli apparati statali che fino a poco tempo fa aveva “diviso” con i Gülenisti, infliggendo agli Stati Uniti una durissima sconfitta dal punto di vista strategico. Conseguenza diretta del fallimento del golpe del 15 luglio sarà l'ulteriore deterioramento dei rapporti tra i paesi dell'Unione europea e la Turchia. Erdoğan ha duramente criticato l'immobilismo di molti leader europei nelle ore immediatamente successive all'avvio dell'operazione militare golpista. Sembrava quasi che l'occidente attendesse con ansia la destituzione del Presidente e, per non inimicarsi il governo che lo avrebbe dovuto sostituire, preferisse non schierarsi apertamente in difesa del governo legittimo.


Di solito, quando si verificano fatti di questo tipo, è il primo ministro ad avere la peggio. Per citare un esempio, durante il colpo di stato in Egitto, Mohamed Morsi venne rimosso dalla carica di presidente da un colpo di Stato messo in atto dal comandante in capo delle Forze armate egiziane, il generale Abd al-Fattāḥ al-Sīsī. Morsi, i suoi collaboratori e i membri del suo governo vennero arrestati per evitare l’espatrio. Il presunto Golpe del 15 luglio in Turchia ci consegna un quadro diverso e rappresenta l’esatto opposto di quello che è accaduto in Egitto, ovvero un presidente che non viene minimamente sfiorato dal colpo di stato e riesce a riaffermare la sua leadership all’interno del paese, messa in discussione dai fatti di Gezi Park. Proprio i fatti di Gezi avevano gettato Erdoğan nell’oblio più assoluto, vista la rappresaglia messa in atto nei confronti dei manifestanti e le successive purghe che avevano ridotto l’opposizione ai minimi termini. In quel caso, la comunità europea condannò con forza ciò che era accaduto in quel parco e da lì venne attuato un approccio diverso nei confronti della Turchia in ottica acquis. Naturalmente, non si ha la certezza se si trattasse o meno di un tentativo di rovesciare il Reis, ma di certo l’unico ad uscire vittorioso è lo stesso Erdoğan, che riesce a gettare le basi per la promozione di una nuova costituzione turca che trasformerà la Turchia in un sultanato. L’aspetto su cui è necessario soffermarsi è che lo "Stato parallelo", di cui Erdoğan si era servito per ragioni di comodo, venne sostituito con una schiera di fedeli sostenitori del Presidente della Repubblica e dello stesso Presidente, a cui si apriva finalmente la possibilità di coronare il suo sogno ovvero creare una "nuova Turchia": uno stato islamico che segnasse una profonda linea di demarcazione con il passato kemalista. La certezza è che il tentativo di colpo di stato c’è stato e che lo stesso Erdoğan aveva già deciso arresti, epurazioni e processi agli esponenti delle opposizioni: l’organizzazione di Gülen tra tutte.


Fonti:

I. Kalin, Dopo il tentativo di colpo di stato, la storia di successo della Turchia continua, in «Il Nodo di Gordio», n. 12, pag. 113

M.Guidi, Il golpe fallito aiuta Erdoğan a diventare sultano, postato il 18 luglio 2016, nella seguente pagina http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3548

Limes, La Turchia secondo Erdoğan. 2016

Limes, La Turchia secondo Erdoğan. Il suicidio tattico degli Stati Uniti si chiama Gülen. 2013.

Il Fatto Quotidiano (Mondo), Turchia, dalla fuga in aereo di Erdoğan all’intelligence che sapeva tutto: tutti i punti oscuri del golpe fallito. https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/23/turchia-dalla-fuga-inaereo-di-Erdoğan -allintelligence-che-sapeva-tutto-tutti-i-punti-oscuri-del-golpe-fallito/2924463/

Conflitti Globali, Turchia, la vendetta di Erdoğan dopo "il regalo di Dio" del golpe sventato. 18 Luglio 2016.



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