Di Mauro Spina
Il discorso misogino, violento e disarticolato di Beppe Grillo ha mostrato tutte le deficienze del sistema culturale italiano, in primo luogo perché la difesa della ragazza che ha denunciato lo stupro, da parte di una grossa fetta politica è stata debole o colpevolmente assente. In secondo luogo perché l’Italia con la cultura dello stupro non vuole fare i conti. Proviamo rapidamente a tirare le fila di questa affermazione, in maniera sommaria, tornando infine all’episodio accaduto negli ultimi giorni.
Secondo una ricostruzione dell’Istat riportata dal Sole 24 Ore negli anni 2006-2014 il 31,5% delle donne ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 3% ha subito uno stupro (652 mila donne) e il 3,5% un tentato stupro (746 mila donne). Questi dati dovrebbero portare ad una riflessione all’interno dei linguaggi giornalistici, ad un cambiamento di passo nei confronti dello stupro e delle vittime di stupro da parte della politica, ma l’opera di rimozione e sistematica colpevolizzazione della vittima hanno sempre prevalso sul buonsenso e sul rispetto del corpo della donna. Citiamo alcuni casi. Nel 2008 a Firenze una ragazza di 23 anni viene stuprata da 6 ragazzi italiani tutti tra i 20 e i 25 anni. La sentenza del 2015 sancisce l’assoluzione degli imputati per questi motivi: i giudici definiscono la ragazza “un soggetto fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali di cui nel contempo non era convinta”. Viene inoltre nel corso del processo fatto leva sulla docilità della ragazza durante lo stupro visto che non si sarebbe opposta alle violenze del gruppo
Per il giudice la ragazza con la sua sessualità fuori dagli schemi eteronormativi (in fondo) se l’è cercata. Siamo nel 2017 e due studentesse americane denunciano gli abusi ricevuti da due carabinieri in servizio, la stampa brancolò morbosamente sui dettagli volti a screditare le due vittime, erano ubriache, avevano abiti succinti e la difesa in tribunale pose loro domande (poi ritenute inammissibili) ma che rendono plasticamente evidente la cultura dello stupro del tutto normalizzata, ne riportiamo qui solo tre.
E’ la prima volta che è stata violentata in via sua? Trova sexy gli uomini in divisa? Indossava biancheria intima?.
Il caso di Massimo Gramellini nell’autunno 2018 non riguarda la narrazione di uno stupro, ma quella del rapimento di Silvia Romano che in maniera conturbante e viscida viene descritta come una Cappuccetto Rosso incosciente e che avrebbe potuto fare volontariato in Italia invece di addentrarsi nell’Africa nera.
Ed ancora, Ancona 2019, gli imputati vengono assolti dall’accusa di stupro ai danni di una ragazza perché considerata dal giudice troppo mascolina per ricevere un abuso sessuale. All’imputato la ragazza neppure piaceva.
Se questi brevi casi di cronaca fanno indignare basti solo ricordare che per rendere lo stupro reato contro la persona e non contro la morale, sono intercorsi 30 anni dallo stupro ai danni di Franca Viola (liberata il 2 gennaio 1966 dai suoi aguzzini), la legge è cambiata solo nel 1996. E ancora, le paludose ricostruzioni sulle vite dei ragazzi autori del massacro del Circeo del 1975, tutti e tre di buona famiglia, tutti e tre dei bravi ragazzi.
Enumerare i casi sarebbe impossibile, ma tutti sono collegati da un sottile filo conduttore. Il corpo della donna. Una donna che deve stare attenta a come si veste, si indaga sempre sui suoi risvolti personali, sugli abiti indossati il giorno dello stupro, sul perché abbia denunciato tardi, sul perché non abbia opposto resistenza, sul perché sia bisessuale, sul perché pratichi sesso occasionale, sul cosa faceva lì in quel momento. Morbosità, viscidi pensieri che si incuneano nei processi, nelle accuse silenziose e nelle dita puntate in difesa dello status quo.
E torniamo al presente. Perché ha denunciato tardi? Questa è la domanda che Beppe Grillo alterato e fuori di sé si pone, nella difesa inquietante del figlio Ciro. Come inquietante, morboso e colpevole è il silenzio di molti, alleati politici o meno che avrebbero potuto evidenziare come questo sia l’ennesima difesa a oltranza di una violenza sul corpo di una donna innocente.
Ha creato sconcerto il video di Grillo, così titola qualche testata giornalistica, Giuseppe Conte si è arroccato dietro il linguaggio forbito e giuridico per prenderne le distanze. Paola Taverna gli esprime solidarietà perché anche lei è madre. A destra si è colta l’occasione per strumentalizzare il tutto, con Matteo Salvini che senza minimamente fare accenno alla vittima, parla di se stesso e del fatto che Grillo sia garantista solo quando gli conviene. Maria Elena Boschi sulla stessa verve del leader della Lega esprime lo stesso pensiero, con la vicenda che ha riguardato in tribunale la sua famiglia, Beppe Grillo non è stato garantista come con suo figlio. Il Partito Democratico chiede a Giuseppe Conte una presa di distanza, essendo il Movimento 5 Stelle nell’orbita di un’alleanza elettorale. Nicola Fratoianni segretario di Sinistra Italiana condanna la violenza del video, ma poi si concentra sulla spettacolarizzazione dei processi.
Della vittima, per convenienza politica o disinteresse totale, non si fanno che timidi accenni. Della cultura dello stupro, delle vecchie logiche patriarcali che serpeggiano nel pensiero comune italiano, non si fa parola. E’ scontro politico, tra chi vuole salvaguardare alleanze espungendo Beppe Grillo e la sua retorica violenta e chi per calcolo lo attacca. La donna esiste come donna-parte del-discorso, o come donna-parola da difendere come parte di un programma politico e non come corpo dotato di senso, fatto di carne che viene puntualmente mortificato.
1 milione e 398 mila donne che hanno subito uno stupro o un tentato stupro eppure ci si chiede ancora oggi perché denuncino tardi o se indossassero o meno le mutande quando sono state violentate. Al numero di queste vittime va aggiunta un’ultima riflessione, l’apprendere dai giornali, dei dettagli su cui ruota un processo di stupro come nei casi riportati in precedenza porta moltissime donne a non denunciare, non solo per la vergogna che uno stupro reca nell’intimo ma anche per evitare che l’atto di denuncia si ritorca contro. Sono molte le donne che decidono di denunciare dopo mesi o anni, spesso in concomitanza di altre denunce rivolte contro lo stesso stupratore. Infine, a causa del sistema normalizzatore, può accadere che ci si renda conto di essere state molestate o stuprate solo dopo una fase di maturazione personale, lo status quo incancrenito, è complice di tutto questo.
Si cerca di strumentalizzare i violenti attacchi di Grillo per auto legittimarsi, auto assolversi, per avere la coscienza politica pulita. Ma la coscienza civile, umana, per l’accaduto rimane sporca.
E su tutto questo il premier tace. D’altronde su Patrick Zaki il premier Mario Draghi ha detto che la questione non riguarda il Parlamento. Anche questa volta, le parole misogine e violente del fondatore del Movimento non riguardano il Parlamento? La cultura dello stupro non riguarda il Parlamento?.
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