Di Mauro Spina
Il percorso verso la calendarizzazione del disegno di legge Zan è concluso: il 13 luglio al Senato, il Partito Democratico, forte dei numeri raccolti alla Camera, tenterà il voto finale (che potrebbe essere segreto) per mettere fine all’ostruzione vergognosa messa in atto dal presidente della commissione legiferante Ostellari, eletto tra le fila della Lega.
Gli emendamenti, migliaia, e le audizioni, anche quelle infinite hanno coinvolto personalità dello spettacolo, politici e semplici figure della società civile, tutte invitate dalla Lega a esprimere i loro dubbi e le loro perplessità sul disegno di legge. Il primo partito italiano nei sondaggi, assieme a Fratelli d’Italia che lo segue costantemente, non ha mai voluto veramente dialogare con il centro-sinistra, lavorando piuttosto a lasciar passare il tempo, a spegnere gli entusiasmi e a sfruttare ogni cavillo e scorrettezza pur di impedire che il disegno di legge Zan arrivasse in aula al Senato.
La destra non può permettersi che questa legge passi. Per una serie di fattori, almeno due fondamentali. Il linguaggio veicolato da Matteo Salvini, è omofobo, razzista e abilista. Nei quadri dirigenziali della Lega non si fa mistero della propria misoginia, islamofobia e di tutto il corredo annesso, consiglieri e deputati leghisti finiscono spesso sulla cronache per le loro espressioni grevi e pericolose, che ad ogni modo piacciono, ferrano attorno a sé un elettorato sempre più violento e sempre più estremo. Un’altra ragione è che Matteo Salvini vorrebbe essere il Viktor Orban italiano, sovranista, uomo solo al comando, paladino della cristianità, omofobo dichiarato, e il decreto legge Zan rischierebbe di limitarne le capacità d’azione. Non si potrà più veicolare odio dal pulpito di un comizio, questo Matteo Salvini lo sa bene e senza la sua retorica ultracattolica ortodossa, anche la sua ala radicale estremista (Simone Pillon, Lorenzo Fontana) si ritroverebbe depauperata.
Ma danzare sulle punte sul grande bacino elettorale omofobo o indifferente alle problematiche della comunità LGBTQIA+, non piace solo a Matteo Salvini. All’interno della polveriera del Partito Democratico ci sono molte anime che non vedrebbero di cattivo occhio un eventuale affossamento della legga che pure porta il nome di un loro deputato. L’area cattolica dei Dem, non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione di rincorrere l’elettorato della Lega. Come già accaduto in passato, con Marco Minniti e i suoi discorsi di destra nei confronti dell’immigrazione, nel tentativo ridicolo di sottrarre voti alla Lega, anche adesso c’è la tentazione di volgere lo sguardo altrove, con il misero solito sguardo miope atto a salvaguardare gli interessi personali.
E quando c’è un punto di rottura all’interno del Partito Democratico, ormai è puntuale ed evidente, Matteo Renzi rompe lo schieramento virtualmente dualistico che si era formato in Parlamento, rilanciandosi come terza via alternativa agli opposti. Senza alcuno scrupolo, né coerenza chiede di eliminare un passaggio della legge (fondamentale, sull’identità di genere) voluto proprio da una parlamentare di Italia Viva, per avvicinare la legge all’opposizione, che in realtà non la voterà comunque contraria com’è a riconoscere anche il più misero diritto alle minoranze LGBTQIA+, Renzi mente in maniera spregiudicata e minaccia di far saltare tutto. Anche lui, leader di una barca che affonda (il suo partito centrista non ha convinto nessuno) arringa l’elettorato di Matteo Salvini.
Ci si rivolge a quel 20% che secondo i sondaggi voterebbe la Lega, ma in generale a quel 48% che voterebbe la destra unita, quindi anche ad eventuali moderati. Ci siamo anche noi, sembrano urlare sbracciandosi come fantocci di pezza, Matteo Renzi e Stefano Fassina. Quest’ultimo da tempo ormai strizza l’occhio all’elettorato di destra, mantenendosi nell’alveo della sinistra soltanto per le materie economiche. Tutti quindi, che cercano in maniera vergognosa di entrare dalla finestra del palazzo sovranista, prendendo consensi ai danni di tant* che attendono questa legge fin dagli anni ’90 quando Nichi Vendola propose un ampliamento della Legge Mancino.
A sottolineare quanto aleatorio sia l’appoggio cattolico alla causa LGBTQIA+ basti considerare gli atteggiamenti dei cattolici all’interno del Partito Democratico, le ingerenze del Vaticano, i cambi di casacca di Matteo Renzi e i tanti silenzi che accompagnano le parole, i post e i gesti dei più feroci odiatori della Lega, tutti orgogliosamente cattolici.
Il 13 luglio potremmo assistere al naufragio del decreto legge oppure al suo passaggio, dopo mesi di ostruzioni e disinformazione voluta. Ma le prospettive non propendono per una svolta positiva. Fin dalla sua nascita il Partito Democratico ha incamerato dentro di sé aree politiche che non hanno mai nascosto la propria simpatia verso l’ortodossia cattolica o il liberismo economico, mentre Matteo Renzi cerca affossando la legge di ritagliarsi una minuscola parte nel dramma, magari erodendo parte dell’elettorato di Matteo Salvini che assieme a Giorgia Meloni e Antonio Tajani, non dovrà fare nulla, come già sintetizzato negli ultimi anni. La destra dovrà solo attendere, nella peggiore delle prospettive si intesterà anche il naufragio del decreto legge Zan, e magari in un futuro neanche troppo lontano, con una riforma elettorale maggioritaria, potremmo vedere Italia Viva fare da stampella alla destra.
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